Lo chiamano “big killer”: è il tumore maligno dei polmoni e dei bronchi, responsabile di decine di migliaia di morti all’anno solo nel nostro Paese (vedi “Fumo di sigaretta, tosse, catarro e tumore del polmone: i consigli dello pneumologo”).
Rappresentava, una volta, una prerogativa prevalentemente maschile dovuta al fatto che, fino a qualche decennio fa, l’abitudine al fumo di tabacco era considerata quasi disdicevole per le donne.
Il cambiamento delle abitudini sociali, legato soprattutto alla ventata di libertà che ha interessato il mondo femminile, ha svincolato la donna da quegli impedimenti e da quelle rinunce socialmente imposte che la vedevano privata del diritto di poter fare le stesse cose degli uomini e, tra queste, anche della possibilità di fumare.
Fino al punto che oggi, avendo superato i maschi per numero di fumatori attivi, anche loro hanno il diritto di ammalare di cancro del polmone.
Non una tragica battuta, purtroppo, ma la triste realtà.
Oggi le donne hanno, in certe casistiche nazionali di diversi Stati, praticamente raggiunto i maschi in questo triste primato ed in alcuni casi li hanno addirittura superati!
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E non sto parlando di una malattia legata o resa più complessa dalla presenza del fumo che, se pur seria, ha ancora la possibilità di essere curata e gestita, come ad esempio nel caso dell’asma bronchiale (vedi “Asma e fumo di sigaretta: il parere dello pneumologo”) o della broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO)(vedi ”BPCO e fumo di sigaretta: il parere dello pneumologo”), ma di una patologia respiratoria che ancora oggi, pur con tutte le novità comparse sulla scena della terapia anti-tumorale negli ultimi anni, rimane una malattia responsabile nel mondo di milioni di morti, con una quota di pazienti vivi a cinque anni dalla diagnosi che non raggiunge il 15%.
Le speranze di ridurre il numero dei decessi legati a questa terribile patologia polmonare sono riposte soprattutto nella possibilità di diagnosticarla in fase sempre più precoce attraverso l’individuazione di marcatori biologici che ne dichiarino la presenza nelle fasi iniziali, quando ancora le terapie possono incidere in modo significativo sulla prognosi.
Oltre a ciò, la sempre più copiosa disponibilità di farmaci mirati ai vari tipi istologici di una neoplasia polmonare e bronchiale che si può presentare nelle diverse forme dell’adenocarcinoma, del carcinoma squamoso epiteliale e del tumore polmonare a piccole cellule (microcitoma), consente una sempre maggiore personalizzazione della terapia antitumorale mirata e tarata sulle varie situazioni dell’ospite e del tumore.
Farmaci che aprono alla possibilità di un’immunoterapia ben più selettiva rispetto alle vecchie chemioterapie del passato che, nel tentativo di attaccare il tumore, distruggevano altresì anche molte cellule sane dell’organismo, prime tra tutte quelle sensibilissime progenitrici delle cellule del sangue che si trovano nel midollo osseo (globuli rossi, globuli bianchi e piastrine).
Tale approccio immunoterapico veniva riservato, fino a poco tempo fa, solamente ai casi che non erano in grado di rispondere positivamente ad un iniziale trattamento con i classici farmaci chemioterapici.
Oggi, invece, in molti casi si tende a iniziare fin da subito la terapia del tumore polmonare con questi nuovi farmaci immuno-mirati, riservando tale tipo di approccio curativo anche ai soggetti fumatori per i quali sembravano meno promettenti.
Si tratta, in pratica, di incominciare a considerare i tumori come se fossero vere e proprie infezioni microbiche e, in virtù di questo principio, i nuovi tentativi sono tutti protesi ad attivare il sistema immunitario contro le cellule tumorali.
Esiste, ad esempio, una particolare proteina denominata PD-L1, prodotta da molti tumori maligni tra i quali un 30% circa dei tumori polmonari, che interagendo con il recettore PD-1 posto sulla superficie cellulare dei linfociti-T (globuli bianchi) né inibiscono le funzioni di difesa contro le infezioni e contro i tumori.
Ebbene, in pazienti con scarsa risposta alle chemioterapie classiche, si sono avuti importanti risultati con la somministrazione di farmaci o di specifici anticorpi in grado di bloccare PD-L1 o PD-1, lasciando in questo modo liberi i linfociti di mantenere intatta tutta la loro azione difensiva.
In altri casi è l’azione anti tirosin-chinasica (anti-TKI) di alcuni farmaci, tra i quali erlotinib e gefitinib, ad agire favorevolmente su quei pazienti con tumore polmonare non a piccole cellule (NSCLC) che presentino particolari mutazioni del gene egfr.
Tutto ciò, naturalmente, non deve far sognare l’impossibile, aprendosi per il momento nuove strade per terapie che, per quanto promettenti, in numerosi casi non sono ancora in grado di dimostrarsi completamente risolutive, specie sul lungo termine.
Pur con tutti i nuovi successi, il modo migliore per ridurre drasticamente la mortalità legata al tumore maligno del polmone resta ancora quello di un rigoroso impegno nella sua prevenzione, ed in questo senso nell’abbandono dell’abitudine al fumo di sigaretta che né rappresenta la principale causa.
Non esiste un numero di sigarette “innocuo”, o garante di fare meno danni.
Ogni singola sigaretta “leggera” o meno che possa essere (la fantasia popolare dei “peccatori” non ha limiti nell’inventare alibi), aumenta enormemente il rischio di ammalare di tumore polmonare.
In quest’ottica, vedere come nella donna si vada affermando un costante incremento dell’abitudine al fumo di tabacco contrario ad ogni logica, non può far altro se non preoccupare per la futura salute delle nostre indispensabili compagne.
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