Una giovane donna di diciannove anni.
Uno strano problema respiratorio: costretta ad inspirazioni molto profonde accompagnate da un vero e proprio gemito.
Il racconto di uno dei casi trattati presso il mio studio.
Quando il problema respiratorio non si “vede” con gli esami
Marina è una giovane donna di diciannove anni presentatasi alla mia osservazione per uno strano problema respiratorio.
Con frequenza talora impressionante, la ragazza si sentiva costretta ad inspirazioni molto profonde accompagnate da un vero e proprio gemito sonoro inspiratorio proprio di chi sta soffocando, che le procurava notevole imbarazzo di fronte alle persone presenti.
Il suo maggior disagio consisteva nel non potersi sottrarre a quella particolare modalità dell’introdurre aria nei suoi polmoni, privata della quale si sentiva soffocare.
Il vero motivo della visita presso il mio studio, consigliata in questo dalla mamma venuta a sapere della possibilità di valutare il problema della figlia in uno studio medico specializzato in Medicina del Respiro, consisteva nel cercare soluzione ad un sintomo molto fastidioso che le precedenti valutazioni relegavano ad un’elencazione di tutto ciò che “non aveva” (“…non ha l’asma” … “…non ha la bronchite” … “…la spirometria è normale…” …” non ha un problema laringeo”…” , ecc.), piuttosto che fornirle indicazioni relative al “cosa fare”.
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Quel non sapere nulla del suo disturbo se non ciò che “non aveva”, non faceva altro che aggravare il suo disagio per quel particolare e fastidioso modo di respirare senza spiegazione, accentuando in tal modo un disturbo percepito come “malattia” che, pur senza spiegazione, le generava ansia.
Quel “non avere” tutta una serie di malattie non solo non la tranquillizzava ma le procurava una sofferenza sempre più evidente.
Che la cosa fosse “poco importante” (importante per chi?) le veniva confermato dalla negatività di una lunga serie di esami funzionali respiratori, radiografici, allergologici ed otorinolaringoiatrici (laringoscopia) ai quali si era sottoposta.
Il non avere “ciò che non aveva” non le bastava, in quanto coincideva con un “non avere nulla” che né le poteva bastare, né le risolveva il problema.
Può capitare che, di fronte a pazienti che presentino sintomi di malattie “fisiche” anche importanti, si tenda prima di tutto a escludere i guai più seri, dimenticando talora di mettere quell’indispensabile etichetta relativa al “che cos’ho” e al “cosa devo fare per risolverlo” che il paziente invece cerca. Io stesso, nel mio passato di specialista pneumologo, prima di incamminarmi lungo il percorso che mi ha portato come ultima specializzazione ad acquisire quella di Psicoterapeuta, non mi sono sottratto a tale modalità di valutazione del paziente, preoccupandomi prima di tutto di escludere tutta una serie di patologie che, se non riconosciute, rischiavano di creare danni al mio paziente, ma dimenticando a quel punto di spiegare bene il che cosa “ci fosse” in luogo del “ciò che non c’era”.
Quel modo di procedere, infatti, lasciava tranquillo me, ma non il paziente.
Il quale, pur di trovare spiegazioni plausibili al suo disturbo, era disposto a ricominciare altrove la sua ricerca fino a trovare qualcuno in grado di fornirgli una risposta “utilizzabile”.
Situazioni analoghe si riproponevano, talora, in presenza di una tosse insistente presente da molti mesi o di disturbi improvvisi del respiro nel corso del riposo notturno con sensazione di soffocamento senza spiegazione, le quali, escluse cause allergiche, tumorali, infettive o infiammatorie acute o croniche, venivano etichettate come “banali” “tic di tosse” o “ tosse nervosa”, senza procedere, a quel punto, alla proposta di un qualcosa “da fare” per risolvere il problema.
Ero distante, allora, mille miglia dalla possibilità di concepire il rilassamento come terapia avente pari dignità, seppure diverso meccanismo d’azione, rispetto ai farmaci broncodilatatori che per mestiere usavo, lasciando che il paziente permanesse con il suo disturbo in una sorta di limbo irrisolto che sembrava non riguardarmi più.
Il suo sintomo restava sullo sfondo solo perché “non di malattia fisica”, fino a fargli apparentemente perdere quell’implicito diritto alla risposta che lo portava alla mia valutazione specialistica.
Questa volta il modo completamente nuovo di procedere nel corso della valutazione clinica del disturbo di Marina, ha consentito alla stessa di essere prima di tutto accettata con quel suo sintomo “marziano”.
Già fin dal primo incontro offertole nel corso della valutazione clinica polifunzionale della Medicina del Respiro Marina si è sentita accolta nel potersi raccontare e nel potersi confrontare con disagi dell’esistere che aveva conosciuto nel corso della vita fin da quando, ancora piccina, veniva adottata dalla sua attuale famiglia.
Una semplice esperienza di rilassamento emotivo profondo in corso di prima visita le ha permesso di sentire come il disturbo da lei accusato si riducesse fino a scomparire in maniera direttamente proporzionale al decrescere dell’attivazione ansiosa ed emotiva che sentiva.
Ciò le ha consentito di divenire da subito consapevole del fatto che l’intensità con la quale il sintomo si presentava era variabile nel tempo e soprattutto era funzione del livello di attivazione emozionale provata.
Dopo essersi sentita “autorizzata” a poter esprimere i suoi problemi esistenziali prima mai esplicitati, usando anche nella sua richiesta d’aiuto quel suo “strano” sintomo, al termine di un percorso di cura Marina è giunta ad accettare ed a gestire in modo decisamente più funzionale il suo disturbo fino a respirare normalmente, risolvendo in questo modo stabilmente il suo problema.
Ciò è stato reso possibile grazie al fatto di aver smesso di cercare la soluzione del problema dove si pensava di trovarla ma dove in realtà non la si sarebbe mai potuta trovare, accettando di cercarla finalmente nel posto dove la soluzione del problema era a portata di mano a patto che proprio li la si cercasse.
Il caso di Marina dimostra, ancora una volta, l’importanza di una vera e propria Medicina del Respiro in grado di considerare la compromissione della funzione respiratoria
- non solamente come somma dei suoi vari momenti disfunzionali medici a base organica, di competenza pneumologica, internistica, allergologica, cardiologica o neurologica che dir si voglia
- ma come spazio nuovo per una cura del respiro finalmente rispettosa di una realtà scientifica integrata tra aspetti fisici e mentali che tenga conto del fatto che il disagio respiratorio “del paziente” è cosa “ propria e personale” e non coincide banalmente con funzioni lese o parti fisiche entrate in crisi, rappresentando invece qualcosa di ben più complesso ed importante, più facilmente risolvibile a patto che lo si affronti e lo si curi soppesandolo attentamente tra gli aspetti estremi di uno stato di malattia fisica e di un disturbo più generale della dimensione emozionale.
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