Dott. Enrico Ballor – Pneumologo Torino
Terapie e Consigli

Ossigenoterapia: Quanto Ossigeno Fare?

Per quanto siano oggi molti i pazienti affetti da insufficienza respiratoria conseguente ad una malattia respiratoria cronica aggravatasi nel tempo (vedi “Insufficienza respiratoria e ossigenoterapia”), obbligati per questo a seguire un programma di ossigenoterapia domiciliare (vedi “L’ossigenoterapia domiciliare spiegata dallo pneumologo”), ho avuto modo di rendermi conto, nel corso della mia attività professionale specialistica, quanto spesso siano per loro poco chiari non solamente i motivi di tale prescrizione, quanto in particolar modo i tempi di somministrazione, la quantità di flusso da mantenere e i rischi connessi alla somministrazione dell’ossigeno.

In questo articolo cercherò di rispondere in modo semplice ai quesiti che mi hanno rivolto i miei pazienti negli anni, non dimenticando che questo breve testo vuole avere un carattere esplicativo dedicato ai dubbi dei “non addetti ai lavori” e non già rappresentare la maggior complessità dei criteri di scelta terapeutica in tema di ossigenoterapia ai quali, invece, è chiamato lo specialista pneumologo.

  • Perché la terapia con l’ossigeno? L’ossigenoterapia non è da considerare diversamente da come si considererebbe una protesi in caso di deficit di una funzione. Se viene a mancare un arto, lo si sostituisce con un dispositivo meccanico che ne riproduca le fattezze e le funzioni. Se è l’udito a farsi problematico, lo si assiste con uno dei tanti gioiellini elettronici in grado di vicariare la funzione uditiva deficitaria. Se manca l’ossigeno in circolo, cioè se la sua quantità nel sangue diviene insufficiente (insufficienza respiratoria ipossiemica – vedi “Emogasanalisi arteriosa” – “Ossimetria (Saturimetria)”), si può somministrare una quota aggiuntiva di ossigeno proveniente da una fonte di ossigeno medicale, aggiungendola a quella già presente nell’aria atmosferica che respiriamo abitualmente.
  • Ossigeno gassoso compresso o ossigeno liquido? L’ossigeno è ossigeno! Punto! Quando si parla di ossigeno gassoso compresso contenuto nelle bombole o di ossigeno liquido contenuto negli “stroller”, sempre di ossigeno si parla. Da un punto di vista “chimico” l’uno vale l’altro ai fini della terapia. Ciò che cambia è semplicemente la presentazione fisica dell’ossigeno: gassoso fin da subito, quello compresso presente nelle bombole; gassoso solo dopo trasformazione da liquido a gassoso, quello “liquido”. Ma alla fine al paziente, sia nell’uno che nell’altro caso, sempre ossigeno gassoso arriva.
  • E i “concentratori d’ossigeno”? Il concentratore di ossigeno non è altro se non un particolare setaccio chimico che è in grado di separare la miscela d’aria che respiriamo. Intendo dire che l’aria che immettiamo nelle vie aeree è composta solo per il 20% da ossigeno, mentre circa l’80% è rappresentato da azoto (l’anidride carbonica (CO2) è trascurabile).

Il concentratore è in grado di “filtrare” fisicamente, come un vero e proprio setaccio molecolare, le sole molecole di ossigeno che vengono prima separate dall’azoto e successivamente raccolte all’interno di un contenitore dedicato atto a contenerle. L’operazione finale, quindi, consiste nel concentrare la sola componente di ossigeno dell’aria presente nell’ambiente, rendendola disponibile al paziente per l’ossigenoterapia.

La velocità di questo processo di separazione, tuttavia, non è eccessivamente elevata, ed è possibile utilizzare un concentratore di ossigeno a patto che le quantità di ossigeno richieste dal paziente non prevedano flussi di ossigeno o concentrazioni troppo elevate. In questo caso la “purezza” dell’ossigeno tenderà a ridursi progressivamente a causa di un’efficienza di produzione del dispositivo (concentratore) non elevata per consumi maggiori. Un livello di flusso pari a circa 2-3 l/min. è di solito sufficiente a garantire una concentrazione di ossigeno assolutamente adeguata.

Il maggior vantaggio del concentratore d’ossigeno rispetto all’ossigeno stoccato, necessitando semplicemente di una fonte di energia elettrica per funzionare, risiede nella possibilità di produrre ossigeno in percentuali di buona qualità anche durante i viaggi in auto (può essere alimentato attraverso la presa dell’accendisigari dell’autovettura) e di non richiede il trasporto delle bombole (ossigeno gassoso compresso e liquido) nei luoghi di villeggiatura, ma soprattutto di non dipendere per le forniture dalle consegne periodiche che spesso disturbano il paziente.

  • Con gli “occhialini” (cannule nasali) o con la mascherina? E’ questa una scelta che certamente non compete al paziente ma allo pneumologo che segue il paziente. Con le cannuline nasali l’ossigeno arriva puro a livello del naso e delle fosse nasali dove, tuttavia, viene diluito dall’aria ambiente contemporaneamente respirata dal paziente. Con le cannule nasali, pertanto, non è mai possibile conoscere esattamente la concentrazione di ossigeno presente nella miscela che il paziente inala e che arriva agli alveoli polmonari.

Nel caso in cui sia necessario conoscere esattamente questa quantità (concentrazione di ossigeno), come ad esempio nei pazienti che tendano all’ipercapnia nel corso dell’ossigenoterapia (aumentata concentrazione nel sangue dell’anidride carbonica – CO2) o nei pazienti che necessitino di ossigeno in concentrazioni elevate, l’uso della mascherina diviene indispensabile, essendo in grado di far giungere al paziente ossigeno a concentrazioni note (maschere di Venturi al 24% – 28% – 35% – 40% – 50% e reservoir al 100%).

  • Quando può essere sospesa l’ossigenoterapia? L’ossigenoterapia è di solito indispensabile fintanto che perdura la condizione di insufficienza respiratoria. Che è come dire: continuerò, per camminare, a dover usare la protesi sostitutiva di un arto amputato, finché non me ne rispunterà uno nuovo! Diversamente potrò anche rimuovermi la protesi, ma mi scorderò di camminare! Detto ciò, quei tentativi infruttuosi spesso autogestiti da parte di alcuni pazienti di sospendersi l’erogazione dell’ossigeno per “vedere come va” (?) sono assolutamente da evitare e ogni variazione della somministrazione di flusso e durata della terapia è sempre da concordare con lo specialista pneumologo.
  • Quanto ossigeno si deve fare? Qual è il criterio che stabilisce quanto ossigeno debba essere somministrato al paziente? Anche in questo caso è lo pneumologo che stabilisce la posologia dell’ossigeno e i tempi di somministrazione nella giornata.

In linea di massima vige la regola secondo la quale, in caso di patologie polmonari quali la fibrosi polmonare in fase non avanzata, in cui non si ponga il problema di un pericoloso aumento dell’anidride carbonica nel sangue (ipercapnia) ma sia presente solo ipossia (ridotta quantità di ossigeno nel sangue), è possibile e auspicabile somministrare ossigeno fino a portare il paziente ad un buon livello di saturazione dell’emoglobina.

Nel caso in cui, invece, esista un concreto rischio di ipercapnia durante l’ossigenoterapia (ad esempio in pazienti con BPCO), sarà preferibile magari perdere qualche punto percentuale di ossigeno in termini di saturazione (Sat%) dell’emoglobina rispetto all’ottimale teorico, fatto questo che sarà ampiamente compensato dal non rischiare un pericoloso incremento della CO2 nel sangue durante la terapia.

  • Dalla bombola o dal “portatile”? Altri dubbi nascono dall’uso dell’ossigeno liquido o di quello gassoso. Come detto prima il gassoso viene inalato dal paziente così come esce dalla bombola, dove è stato raccolto sotto forma di ossigeno compresso. Ma anche l’ossigeno liquido, stoccato nei silos di deposito in forma liquida e mantenuto a bassissima temperatura, dev’essere riconvertito in ossigeno gassoso prima di essere inalato dal paziente. All’atto pratico l’unica cosa che cambia è la maggior praticità dell’ossigeno liquido rispetto al gassoso compresso, che consente di limitare il volume del contenitore (ingombro in casa e peso da trasportare). Se infatti per trasferire al domicilio del paziente una quantità di ossigeno gassoso compresso pari a 32.000 litri occorrono 4 grosse bombole industriali da 8.000 litri alte circa metri 1,70, nel caso in cui lo stesso venga trasportato in forma liquida a bassa temperatura (ossigeno liquido), la stessa quantità può essere stoccata in un ben più pratico contenitore trasportabile su ruote, più basso e di diametro maggiore, ben meno ingombrante rispetto alle grosse bombole di O2 gassoso di cui sopra.

Altro vantaggio dell’ossigeno liquido è di rendere possibile la ricarica di dispositivi portatili impiegabili dal paziente durante la deambulazione anche all’esterno dello spazio domestico, usando il silos principale come serbatoio “madre”. Per evitare sprechi, è da sconsigliare la pratica abituale dell’ossigenoterapia impiegando tali walker ricaricabili (stroller) quando il paziente è fermo in casa, soprattutto per la breve durata della carica degli stessi (al massimo 3-4 ore a basso flusso) legata alla grande dispersione ambientale di ossigeno di tali dispositivi.

  • Quali sono i rischi della terapia con l’ossigeno? L’ossigeno è un comburente, cioè in presenza di un combustibile consente lo sviluppo di una fiamma. A parte le tossicità specifiche neurologica e polmonare per l’ossigeno, che interessano i subacquei che s’immergono con le bombole ma che in pratica, ai normali flussi e percentuali di esercizio, non riguardano i pazienti in ossigenoterapia, i rischi che corrono i pazienti in terapia con l’ossigeno sono di due tipi:
  • Rischio ipercapnico: come già anticipato sopra, consiste nel rischio che il paziente corre di vedere incrementare pericolosamente nel sangue la quantità di anidride carbonica (CO2) in presenza di particolari malattie respiratorie (broncopneumopatia cronica ostruttiva) e condizioni fisiche (obesità e sindrome da ipoventilazione cronica). Tale rischio è scongiurabile rispettando l’eventuale prescrizione di una maschera di Venturi, quando necessaria, da parte dello specialista pneumologo.
  • Da incendio o esplosione: per quanto un paziente con insufficienza respiratoria in ossigenoterapia dovrebbe già ben sapere che l’ultima cosa da fare è insistere nell’abitudine al fumo di tabacco (vedi “BPCO e fumo di sigaretta: il parere dello pneumologo” – “Quali sono le sigarette che fanno meno male? Il parere dello pneumologo”), viste le già precarie condizioni respiratorie, esistono purtroppo pazienti che hanno difficoltà ad attenersi a tale prescrizione e continuano a fumare allegramente anche in corso di ossigenoterapia. In alcuni casi l’avvicinare la fiamma della sigaretta al flusso dell’ossigeno proveniente dalle cannuline nasali può produrre vistose ustioni del volto e delle fosse nasali, come si vede in quest’immagine la cui pubblicazione mi è stata concessa da uno dei miei pazienti, poi pentitosi per l’accaduto e obbligato ad assumere per qualche settimana l’ossigeno attraverso la bocca, per le voluminose lesioni crostose che ingombravano le cavità nasali.

Si ricordi, in ogni caso, che anche per l’ossigenoterapia, come per qualunque altra terapia farmacologica, vale il principio secondo il quale la prescrizione, l’opportunità della sua prosecuzione nel tempo ma soprattutto le quantità somministrate, devo essere assolutamente controllate dal medico e dallo specialista pneumologo, astenendosi dalle lusinghe di un quanto mai pericoloso e inopportuno “fai da te” autogestito dal paziente.

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