Dott. Enrico Ballor – Pneumologo Torino
Sintomi e Diagnostica

“Catarro che Esce Senza Tosse”: uno Strano Caso per lo Pneumologo

Davvero uno strano caso per lo pneumologo quello che mi è capitato di affrontare nel corso dell’attività professionale. Il motivo per il quale il paziente aveva prenotato una visita specialistica nel mio studio, era il “catarro” che diceva di presentare da circa 4 mesi e che lo obbligava a sputare o ad eliminare il secreto dalla bocca dopo averlo raccolto con un fazzoletto per liberare il cavo orale da quell’”ingombro” per lui insopportabile.

Nel riportarmi il sintomo, ma ancor più nel raccontarmi i dettagli relativi a quell’abbondante quantità di secreto mucoso rapidamente riformantesi che usciva dalla bocca (non dal naso come specificatomi), quel signore anziano sottolineava la presenza di un disagio che tendeva a permanere nonostante gli fossero già stati prescritti, come lui stesso diceva “ … antibiotici, aerosol di tutti i tipi e cortisone …”. (vedi “Tosse con catarro: il parere dello pneumologo” – “Tosse e catarro: cause e terapia – I consigli dello pneumologo”).

La prima cosa che cercai di capire fu in quale momento della giornata il fenomeno si presentasse con maggior evidenza.

E qui incominciarono le sorprese in quanto, senza che me lo aspettassi, la sua risposta fu “Quando mangio ..”.

Cercai di capire quali alimenti gli facilitassero la produzione del catarro, ma la sua risposta fu una sorpresa pari a quella precedente: “Nessuno in particolare …. forse quando bevo …”.

Il fatto che la produzione di “catarro” fosse maggiore durante i pasti, mi indusse immediatamente a sospettare un nesso tra l’assunzione dei liquidi e la comparsa della tosse produttiva.

Fu per questo che presi un bicchiere e lo invitai a bere un sorso d’acqua, per valutare dopo quanto tempo comparisse la tosse.

La mia idea era, tra le altre, che il paziente fosse portatore di una fistola esofago-tracheale, anomala comunicazione tra l’esofago (è il tubo che conduce il cibo allo stomaco) e la trachea (è il tubo che invece veicola il passaggio dell’aria ai bronchi e ai polmoni), che giustificasse la comparsa di tosse e l’eliminazione di catarro liquido subito dopo aver bevuto.

In realtà, però, non successe nulla.

Gli chiesi, a questo punto, quanto tempo passasse, di solito, tra il momento della deglutizione dei liquidi e la comparsa della tosse, ma la sua risposta fu per me disarmante … “Tosse? … Ma io non ho nessuna tosse! ….. Mai avuto tosse! …”.

Mi accorsi che l’idea che il secreto catarrale potesse fuoriuscire con i “colpi di tosse”, apparteneva solo al mondo delle mie supposizioni ma nulla aveva a che fare con il suo sintomo!

Il fatto di aver pensato che l’abbondante “secrezione” potesse essere eliminata con i colpi di tosse, mi autorizzava a ipotizzare la presenza di una fistola che giustificasse l’eliminazione del liquido introdotto per bocca ed eliminato di li a poco dalle vie aeree.

D’altra parte ero stato indotto a pensare a questa possibilità proprio da quanto affermava il paziente stesso e cioè la maggior produzione di “secreto catarrale” dopo aver bevuto.

Ma la risposta del mio paziente mi spiazzò e mi impedì di proseguire con la mia errata teoria sul suo problema.

Gli chiesi, allora “Scusi, ma questo catarro come esce? E da dove? … Cioè …se non tossisce come fa a uscire il catarro?”

E la sua risposta fu prontissima.

Prese un fazzoletto e mi fece vedere. “Guardi …”, disse vuotandosi la bocca di un’abbondante quantità di secreto che mentre parlavamo si era formato. “Guardi!….”.

E mi fece vedere un fazzoletto bianco pieno di un’abbondante quantità di liquido denso trasparente che null’altro mi pareva se non … SALIVA!.

“Scusi”, gli dissi, “ ..ma questo è il catarro di cui lei parla?”.

La conferma che mi diede con la sua risposta mi portò a dover rivedere completamente le mie ipotesi sul suo disturbo.

Ciò che lui chiamava “catarro”, era in realtà saliva densa prodotta e accumulatasi rapidamente nel cavo orale, mentre in realtà tutte le considerazioni relative a tempi di comparsa del “catarro” dopo aver bevuto, relazione con i pasti, ecc., erano semplicemente il frutto casuale di una grande confusione espositiva da parte del paziente e di equivoci che avevano alimentato, da parte mia, interpretazioni fuorvianti.

L’unica cosa certa che avevo di fronte, a quel punto, era solo quell’abbondante presenza di saliva mucosa che gli creava un fastidio divenuto oramai insopportabile, rendendogli difficile anche il semplice parlare e limitandolo fortemente nei contatti sociali, fino quasi all’isolamento.

Prima di me questo signore era già stato sottoposto ad altre quattro visite specialistiche, due pneumologiche, una gastroenterologica ed una visita otorinolaringoiatrica.

Nel corso delle stesse già gli erano stati prescritti diversi esami clinici tra i quali una radiografia del torace, una fibroscopia delle fosse nasali, nel corso della visita otorinolaringoiatrica orientata ad escludere una post nasal drip (sindrome sinuso-bronchiale con scolo retronasale di secrezioni rino-sinusali) ed una EGD-scopia (gastroscopia), per escludere una sindrome da reflusso gastro-esofagea (MRGE o GERD) (vedi “Tosse, catarro e reflusso gastro esofageo: il parere dello pneumologo”).

Evidentemente i Colleghi che mi avevano preceduto, per prescrivere gli esami di cui già il paziente disponeva quando giunse nel mio studio, dovevano aver avuto, come me in un primo tempo, la sensazione che il “catarro” di cui parlava il paziente venisse eliminato con la tosse e fosse prodotto dalle vie aeree, magari anche come risposta riflessa ad un reflusso gastro-esofageo, o provenisse dalle fosse nasali.

Scialorrea

Questo è il termine con il quale viene definito il sintomo presentato da quel signore, un uomo di circa settant’anni talmente convinto che il suo catarro provenisse dalle vie aeree, da scegliere di farsi visitare ancora una volta da uno pneumologo, certo di poter risolvere il suo problema di “catarro” con questa figura specialistica.

La scialorrea, nota anche con i termini ptialismo o ipersalivazione, è un sintomo che consiste in un’abbondante secrezione di saliva prodotta in modo quasi continuo, che tende a scorrere (a “colare” fuori) dalla bocca, obbligando il paziente a svuotare il cavo orale, sputando la saliva o raccogliendola continuamente con un fazzoletto, per non rischiare di vederla uscire dagli angoli della bocca determinando situazioni imbarazzanti.

Qualche volta l’abbondante produzione salivare è fluida, mentre altre volte, come in questo caso, essa può presentarsi di densità e viscosità aumentate, simulando una secrezione catarrale più che una secrezione salivare.

Tra le cause di scialorrea compaiono:

  • Scialorrea psicogena: tipica dei soggetti ansiosi che vivono momenti di emotività spiccata. Si tratta di accessi di ipersalivazione temporanea che tendono ad autolimitarsi e a risolversi spontaneamente in breve tempo.
  • Scialorrea della gravidanza: possibile nei primi 3-4 mesi di gestazione, con risoluzione spontanea dopo questo periodo. Si tratta generalmente di una tendenza all’accumulo di saliva nella bocca che tende a non essere deglutita per la concomitante presenza di nausea (emesi gravidica), più che non di una vera e propria aumenta produzione della stessa.
  • Scialorrea dell’anziano: come nel caso precedente, la maggior parte dei casi di scialorrea dell’anziano sono conseguenza di accumulo di saliva nel cavo orale, legata a problemi dentari o alla scarsa igiene che favorisce gengiviti e presenza di afte della mucosa orale o, ancora, ad alterazione della deglutizione (disfagia), senza una reale aumentata produzione di saliva. In alcuni casi, invece, essa è favorita da farmaci che in questo periodo della vita tendono ad essere assunti con maggior frequenza (vedi dopo). In questi casi la scialorrea è da addebitare ad una vera e propria aumentata produzione di saliva.
  • Scialorrea in corso di malattie neurologiche:
    • Morbo di Parkinson
    • Miastenia gravis
    • Paralisi bilaterale del nervo facciale
  • Scialorrea da farmaci: tra i farmaci che più spesso possono essere responsabili di scialorrea troviamo:
    • benzodiazepine: accumulo della saliva che tende a ristagnare in bocca come conseguenza della riduzione della frequenza di deglutizione della saliva, talvolta associata ad una vera e propria aumentata produzione di saliva da parte delle ghiandole salivari
    • neurolettici (antipsicotici), tra i quali l’olanzapina, responsabili in certi soggetti di secchezza della bocca ed in altri dell’effetto opposto (scialorrea). Lo stesso dicasi per il risperidone e per la clozapina, antipsicotici impiegati, tra l’altro, nel trattamento degli stati psicotici e del disturbo bipolare.
    • Colinergici (anti-colinesterasici), impiegati nella terapia della malattia di Alzheimer (donezepil e rivastigmina).

Compreso il problema, invitai il paziente a sottoporsi ad un esame ecografico delle ghiandole salivari, poi risultato normale, in attesa di valutare con lui l’elenco dei farmaci assunti, che al momento della prima visita non ricordava con precisione.

Esaminando insieme le possibili cause della sua scialorrea, lui stesso ricordò di aver cambiato la terapia neurologica in corso da qualche anno solo qualche settimana prima rispetto all’inizio dei sintomi e mi mostrò la confezione del nuovo farmaco che assumeva per uno scompenso di un disturbo ossessivo severo: olanzapina.

Notammo insieme come questo medicamento comparisse nell’elenco dei farmaci causa di scialorrea, invitammo il neurologo che lo aveva in cura a proporre una soluzione alternativa e …. il “catarro” sparì, senza dover ricorrere all’impiego di farmaci anticolinergici che possono essere prescritti per ridurre la produzione di saliva, ma che tuttavia trovano spesso controindicazioni nell’anziano, specie in presenza di patologie prostatiche (Ipertrofia Prostatica Benigna – IPB) o di patologie dell’occhio (glaucoma).

In qualche caso selezionato e resistente ai vari trattamenti possono essere impiegate iniezioni di tossina botulinica all’interno delle parotidi e delle ghiandole sottomandibolari, molto efficaci ma che purtroppo richiedono di essere ripetute periodicamente per mantenere il loro effetto.

In casi estremi, poi, è possibile intervenire chirurgicamente interrompendo la connessione nervosa delle ghiandole salivari (intervento di denervazione).

Un caso clinico sicuramente interessante che dimostra una volta di più come, per risolvere certi problemi in medicina, sia necessario prima di tutto evitare posizioni scontate che qualche volta, per quanto applicate a processi diagnostici metodologicamente corretti, non consentono di cogliere i risultati sperati proprio in quanto applicate a premesse tanto apparentemente “ovvie” quanto errate.

La diagnosi è spesso già nella testa del paziente! Al medico esperto serve unicamente coglierla usando, senza pregiudizi, la sua conoscenza scientifica, ma soprattutto impegnandosi a parlare con lo stesso una lingua chiara e comprensibile a entrambi!

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