Mi è capitato di parlare con pazienti affetti dalle malattie respiratorie più varie, specie se croniche, accomunati da un luogo di nascita posto in terre distanti dall’attuale luogo di residenza, assolutamente convinti della possibilità di veder migliorare la loro precaria condizione respiratoria, indipendente dalla patologia che ne sia responsabile, contando sulle proprietà curative di ciò che curiosamente definiscono ”aria nativa”.
Per quanto già in terapia con farmaci spesso in grado di controllare adeguatamente le loro diverse malattie, essi comunicano al medico il fatto di poter contare su di una prossima vacanza nei luoghi d’origine, quelli che li hanno visti nascere e nei quali spesso si sono trattenuti solo per qualche anno da giovani prima del trasferimento lontano, per migliorare ulteriormente la loro già discreta condizione.
Questi pazienti vedono nella vacanza la grande occasione di riappropriarsi di quel fattore curativo universale che sentono come una vera e propria “marcia in più”: l’aria nativa, appunto.
L’aria dei luoghi natali, siano essi marini, montani o siti in campagna, di quell’ambiente amico che li ha visti venire al mondo, che non solo per nessun motivo potrebbe essergli ostile, ma che addirittura rappresenterebbe per loro una benefica “immersione” nel clima delle origini che meglio li conosce.
Perché, se li faceva star bene allora, a maggior ragione li farà star meglio oggi, integrando in modo benefico l’azione pur anche azzeccata dei farmaci già in corso.
Vediamo, allora, quanto ci sia di vero in tutto ciò o quanto, invece, dietro l’angolo si nascondano suggestione o magari addirittura rischi.
- Se consideriamo l’“aria nativa” una sorta di fluido magico delle origini dotato di proprietà risanatrici assolute, nel quale poter immergere il corpo per trarne beneficio, beh … in questo caso siamo purtroppo molto lontani dalla verità scientifica.
Innanzitutto è meglio accordarsi fin da subito sul significato di “benessere”.
Ad esso è bene riferirsi non considerandolo un qualcosa di rigorosamente oggettivo e assoluto, ma come un qualcosa, invece, di assolutamente relativo e personale!
Benessere vuol dire “stare bene” e ognuno ha un suo personalissimo modo di costruirsi e di viversi il proprio star bene!
La variabilità dell’uomo fa si che mentre alcuni si annoino a far niente, altri ne traggano invece un piacere assoluto.
E lo stesso può dirsi riferendosi al piacere che produce il fare continuo degli instancabili, tanto criticato ed incompreso da chi, invece, vede in quella stessa cosa motivo di fatica e sofferenza.Stabilito che è possibile prodursi piacere sulla base anche solo delle proprie personali convinzioni, il piacere generato dal contatto con l’”aria nativa”, cioè con i luoghi protettivi di un tempo ricordati con favore o con persone amiche, amici o famigliari che siano, potrebbe riassumersi anche solo con il generale piacere che scaturisce dal contatto con un ambiente che crea allegria, appagamento e senso di maggior sicurezza.
In questo stato di grazia ogni sintomo ed ogni residuo disagio si trasformano senza fatica in qualcosa di più sopportabile e, in questo modo, la malattia, qualunque essa sia, diviene più facilmente tollerata.In questo caso una vera e propria azione curativa svolta dalla propria mente che, in presenza di premesse favorevoli, diviene in grado di percepire in modo meno fastidioso quegli stessi sintomi che in altre situazioni appaiono invece meno accettati.
- La dispnea, cioè il disagio a respirare, sintomo cardine di molte malattie polmonari ma non solo, condizionata com’è da un’infinità di aspetti mentali che spesso accompagnano le alterazioni organiche delle diverse malattie che la generano, viene spesso percepita in modo differente, sia in termini qualitativi che quantitativi, in funzione delle diverse modulazioni ansiose e depressive dell’equilibrio psichico.
In questo modo, qualsiasi fattore in grado di agire favorevolmente su di una più generale percezione di benessere, e tra questi le situazioni di piacere che si accompagnano alla presenza dell’ ”aria nativa”, può modificare la percezione del sintomo dispnea, fino a farlo percepire con minor disagio.
- Attenzione, però, perché qualche volta le aspettative potrebbero andare deluse.
Immaginiamo, ad esempio, il caso di un paziente asmatico allergico che ritorni nei luoghi di provenienza saturi, magari, di pollini allergenici con i quali il paziente da anni non aveva più contatto (vedi “Pollinosi” – “Malattie allergiche delle vie aeree”).
Un pugliese asmatico allergico all’olivo trapiantato a Milano per lavoro, che torni in Puglia nella stagione di pollinazione di questa pianta, tutto troverà meno che una favorevole condizione climatica pronta ad accoglierlo.
Ed il tanto auspicato effetto positivo dell’ “aria nativa”, si tradurrà per questo poveretto in una possibile crisi d’asma o nella comparsa di una tosse inattesa! (vedi “Tosse e allergia: il parere dello pneumologo” – “Asma allergico e luogo di vacanze: i consigli dello pneumologo”).
- Qualche volta, specie nel caso di pazienti con BPCO che affrontino il viaggio di andata in aereo, l’esposizione all’aria climatizzata talvolta esageratamente fredda degli aeromobili potrebbe addirittura favorire quella riacutizzazione della BPCO in grado di creare, all’arrivo a destinazione, tutto meno che le favorevoli condizioni immaginate per un piacevole soggiorno.
Tenuto conto di queste e di tante altre possibili diverse situazioni, non si assolutizzi, quindi, la certezza dei vantaggi attesi dall’ “aria nativa”, ma se ne concordino, invece, da caso a caso anche con lo specialista pneumologo, l’opportunità, i tempi e le modalità del viaggio verso i luoghi natali.
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