Assumere farmaci per il trattamento dell’ansia e dell’insonnia senza prescrizione medica – peggio ancora se in presenza di alcune malattie respiratorie croniche – non è di certo una buona idea.
Vediamo insieme di cosa si tratta nell’articolo di oggi.
Introduzione
Sedativi e benzodiazepine sono, per antonomasia, i più comuni e diffusi farmaci ansiolitici e ipno-inducenti (favorenti il sonno) disponibili.
E non è raro che lo pneumologo si debba confrontare, nel corso della sua attività professionale, con tali principi farmacologici, spesso assunti dal paziente senza l’opportuna e auspicabile prescrizione medica per il trattamento dell’ansia e dell’insonnia.
Peccato però che, come dirò tra poco, trattando farmacologicamente i pazienti portatori di questi disturbi ansiosi e del sonno, in presenza di alcune malattie respiratorie croniche, prime tra tutte la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), la bronchite cronica, l’enfisema polmonare e, ancor più, la concomitante insufficienza respiratoria (vedi “L’ossigenoterapia domiciliare spiegata dallo pneumologo”), ci si possa trovare a dover fare i conti con una serie di problemi non certamente trascurabili.
Le benzodiazepine (BZD) sono farmaci impiegati per via orale o endovenosa, dotati di una comune capacità di agire sui recettori del GABA (acido γ-amino-butirrico), favorendo in tal modo l’azione stabilizzatrice dell’eccitabilità dei neuroni (cellule nervose) da parte di tale neurotrasmettitore inibitorio, grazie ad una regolazione dei flussi del cloro attraverso la membrana cellulare dei neuroni stessi.
Esse sono dotate di tre diverse azioni, che variano soprattutto in funzione della dose somministrata, della differente durata d’azione delle diverse molecole appartenenti a questa classe di farmaci, e in gran parte della loro lipofilia (facilità a sciogliersi nei grassi), che le rende più o meno facilmente in grado di raggiungere i neuroni, dopo aver attraversato la barriera emato-encefalica.
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Il più noto degli effetti che sono in grado di esercitare sull’organismo umano consiste nell’azione ansiolitica e sedativa che, a buon diritto, giustifica il vedersi riconoscere dal grande pubblico quel ruolo di regolatori dell’ansia che ne motiva la fin troppo ampia prescrizione, e che fa di esse uno dei farmaci più richiesti.
Specialmente le benzodiazepine dotate di minor lipofilia e per questo assorbite meno rapidamente, ed in grado di generare nel corso del loro catabolismo (progressiva inattivazione del farmaco per trasformazione in altri composti) sostanze diverse dalla molecola iniziale ma ancora farmacologicamente attive, appartengono a quelle maggiormente impiegate con finalità ansiolitiche.
Quelle, invece, più rapidamente in grado di raggiungere i neuroni dell’encefalo ove esplicano la loro azione farmacologica, in quanto dotate di una più elevata lipofilia, sono prescritte, ancor più se rapidamente inattivate ed incapaci di generare cataboliti (molecole derivate da quella di partenza) ancora farmacologicamente attivi, come induttori del sonno (sonniferi o ipnoinducenti).
Le benzodiazepine possono poi ancora essere utilizzate come miorilassanti (rilassanti la muscolatura) o come antiepilettici (anticomiziali e anticonvulsivanti), senza dimenticare, altresì, quell’azione sedativa generale che ne giustifica l’impiego nella pre-anestesia.
Vantaggiosi effetti terapeutici, effetti negativi e rischiosi
Esse, quindi, determinano vantaggiosi effetti terapeutici, rendendosi purtroppo responsabili, talora, di alcuni effetti secondari spesso decisamente negativi e particolarmente rischiosi, specie nei pazienti affetti da concomitanti patologie respiratorie.
Tra questi voglio ricordare:
- Rischio di depressione respiratoria, con peggioramento dei deficit funzionali respiratori specie nei pazienti affetti da BPCO, ancor più nel corso della notte.
In questi soggetti, infatti, nei quali già esiste una precaria condizione funzionale respiratoria legata all’ostruzione bronchiale e alla non ottimale ossigenazione del sangue (vedi “Emogasanalisi arteriosa” – “Ossimetria (saturimetria)”), l’assunzione di sonniferi benzodiazepici rischia di far precipitare l’ipossiemia del paziente fino all’insufficienza respiratoria.
Tale grave complicanza di molte malattie respiratorie croniche, è in questo caso legata all’ ipoventilazione alveolareprovocata da questi farmaci.
Essa consiste nella riduzione della capacità di mobilizzare l’aria all’interno dei polmoni, rendendo in tal modo insufficiente quel ricambio d’aria indispensabile per una corretta ossigenazione.
Ancor più nei pazienti già affetti da insufficienza respiratoria cronica e per questo in terapia con l’ossigeno (vedi “L’ossigenoterapia domiciliare spiegata dallo pneumologo“), le benzodiazepine devono essere evitate, riservandone l’impiego, a dosaggi in ogni caso contenuti e comunque sempre sotto il diretto controllo del medico, solo in quei rari casi in cui esse si rendano assolutamente indispensabili. - Strettamente correlata a quanto detto al punto precedente, è l’ipercapnia (aumento della quantità di anidride carbonica presente nel sangue), in modo particolare nei pazienti affetti da BPCO e insufficienza respiratoria.
Anche in questo caso, come già nel caso dell’ipossiemia vista sopra, la causa della sua comparsa è da riferire all’ipoventilazione alveolare secondaria alla depressione respiratoria indotta dalle benzodiazepine.
La condizione ipercapnica rappresenta un grave rischio per i pazienti con problemi respiratori cronici, specie in quelli con insufficienza respiratoria, in quanto, oltre alla comparsa di sintomi quali cefalea (più frequentemente frontale) specie al risveglio, occhi arrossati ed edema palpebrale, obnubilamento sensoriale o vero e proprio stato confusionale, aumento della sonnolenza diurna, turbe dalla memoria, iporessia e deficit psico-motori, il paziente rischia di veder progredire la sua insufficienza respiratoria ipercapnica fino allo stato di coma (coma ipercapnico), che a quel punto rende indifferibile il ricovero ospedaliero. - L’eccessiva sonnolenza secondaria all’uso delle benzodiazepine costituisce una seria limitazione alla loro prescrizione, specie nei pazienti affetti da sindrome delle apnee del sonno ostruttiva (OSAS).
La riduzione del tono muscolare provocata dalle benzodiazepine, infatti, (azione miorilassante con ipotonia muscolare della muscolatura oro-faringea), può precipitare la già precaria pervietà delle vie aeree tipica dei pazienti affetti da OSAS, con peggioramento del russamento (vedi “Mio marito russa! Che cosa posso fare?”), del numero e della durata delle apnee durante il sonno e delle relative desaturazioni emoglobiniche notturne (vedi “Polisonnografia e trattamento delle apnee del sonno”). - Si tenga conto, per contro, che non è impossibile in pazienti trattati con ventilazione non invasiva, specie notturna (NIV) (vedi “C-PAP, Bi-PAP (Bi-Level), ventilazione non invasiva (NIV): dallo pneumologo un aiuto alla respirazione”), il ricorso alle benzodiazepine favorenti il sonno nel caso in cui il paziente si presenti insonne.
Ciò a patto, tuttavia, che tale scelta avvenga sotto la diretta supervisione del medico e dello pneumologo che seguono il paziente, e che il periodo durante il quale il farmaco svolge la sua azione sia adeguatamente coperto dal concomitante trattamento con il ventilatore, da mantenersi attivo e collegato al paziente per tutta la durata dell’effetto farmacologico. - E’ necessario prestare particolare attenzione alla tendenza che hanno alcune benzodiazepine, specie quelle dotate di maggior lipofilia, di accumularsi nel tessuto nervoso dell’encefalo, prolungando inopportunamente la loro azione oltre i tempi necessari.
Ciò è vero ancor più nel caso degli anziani, categoria già di per sé a rischio di effetti respiratori indesiderati. - Esiste una particolare benzodiazepina, il midazolam, usata come sedativo nelle manovre medico-chirurgiche tra le quali la broncoscopia, che più di altre possiede un favorevole effetto amnesico successivo alla procedura endoscopica.
Anche in questo caso, i pazienti anziani con problemi respiratori cronici che vengano sottoposti all’esame devono essere attentamente controllati successivamente allo stesso per evitare un eccessivo e pericoloso protrarsi dell’effetto sedativo. - Si tenga conto del fatto che, specie nei pazienti con BPCO o altre patologie respiratorie croniche, la necessità di controllare gli stati d’ansia non necessariamente passa dalla terapia farmacologica, specie quando la stessa rischi di creare problemi di non poco conto in termini di effetti secondari.
Più che in ogni altro caso, quindi, è questa una classica situazione clinica nella quale pare proponibile, con ottime possibilità di successo e nessun rischio di peggioramento del gap espiratorio, tutta una serie di interventi utili per la sedazione dell’ansia, che spazia dalla psicoterapia alle più diverse tecniche di rilassamento fisico e mentale (vedi ”Ginnastica respiratoria, BPCO e Yoga: il parere dello pneumologo”).
Conclusione
La dove la terapia ansiolitica farmacologica consente al massimo di “abbassare il volume” del disturbo ansioso, senza tuttavia mutarne i contenuti disturbanti, una buona psicoterapia, invece, o un buon counseling, magari accompagnati da esercizi adatti a pazienti con problemi respiratori (vedi “Esercizi respiratori per pazienti con BPCO: la ginnastica respiratoria consigliata dallo pneumologo”), sono in grado di “cambiar la musica”, non limitandosi ad una modifica solo “quantitativa” del disturbo, ma producendo invece una ben più piacevole trasformazione “qualitativa” dello stesso.
Specie nei pazienti con problemi respiratori nei quali, come ho detto, è estremamente elevato il rischio di provocare danni con le benzodiazepine, tali possibilità di intervento dovrebbero essere considerate non come alternativa all’ansiolisi farmacologica, bensì come la principale proposta da fare nel caso in cui coesistano disturbi d’ansia.
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