Un articolo pubblicato su JAMA (Journal of the American Medical Association) sembra sostenere l’inutilità dello screening dei pazienti adulti asintomatici con la spirometria, anche se fumatori o ex-fumatori, finalizzato alla prevenzione della BPCO.
Pur senza nulla togliere al merito dei ricercatori e al rispetto dei presupposti sperimentali e scientifici del gruppo di lavoro citato (US Preventive Services Task Force – USPSTF), che hanno consentito di giungere a tali conclusioni sulla base di una revisione della letteratura medica esistente, qualche considerazione “provocatoria”, finalizzata non certamente a far polemica ma a stimolare, invece, un fecondo dibattito scientifico, mi viene da farla.
Soprattutto in relazione ai dubbi espressi da altre fonti specialistiche in disaccordo rispetto all’ipotesi proposta, che sembrano invocare, invece, la necessità di attendere i risultati di nuovi studi che consentano di meglio definire limiti e utilità dello screening spirometrico per l’individuazione precoce della BPCO nei cosiddetti pazienti asintomatici, prima di decretarne la poca efficacia.
Tali dubbi in chi critica le conclusioni dell’USPSTF, peraltro, sono sorti soprattutto in relazione ai due seguenti punti:
- Non si sono trovati, tra quelli esaminati, studi che siano in grado di valutare il risultato di un eventuale trattamento dei pazienti con BPCO in fase molto precoce.
Pertanto, e mi sembra non poca cosa, non è possibile valutare l’eventuale impatto positivo che una precoce individuazione della BPCO, ma soprattutto un suo precoce trattamento, potrebbero avere sulla successiva evoluzione della malattia nel tempo, in quanto non ci sono dati in tale senso. - Sembrerebbero individuarsi scarsi vantaggi sulla qualità di vita, su certi sintomi, primo tra tutti la dispnea (disagio respiratorio) e sulla sopravvivenza in corso di terapie con LABA, LAMA e ICS (vedi “I nuovi farmaci per asma e BPCO presentati dallo pneumologo”), nei pazienti individuati con lo screening aventi una BPCO già di grado moderato-severo (vedi “Classificazione GOLD della BPCO come indice di gravità pneumologica”), che purtroppo già si presentano in una fase avanzata di malattia (stadio II > IV).
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Al di la di tutto, però, c’è una cosa che non ho ancora ben compreso nei dati presentati: se non vi è dubbio che, nel caso di pazienti fumatori e sintomatici per ipersecrezione catarrale, dispnea o sibilo espiratorio (vedi “Sento un fischietto quando respiro! Che cos’è?”), lo screening spirometrico abbia un senso, prima di definire l’inutilità dello stesso nel caso degli adulti asintomatici, per quanto fumatori, di quali “asintomatici” stiamo parlando?
Vediamo, allora, alcuni punti utili a meglio comprendere il mio pensiero.
- Non ho mai visto quadri di BPCO insorgere in una notte.
E’ vero, invece, che la BPCO, per realizzarsi, richiede anni, e ancor più l’enfisema polmonarecomplicante che, con la sindrome ostruttiva ipersecretiva (bronchite cronica), aggrava i problemi respiratori del paziente. - Partendo da questi presupposti, ho visto purtroppo, negli anni, decine di pazienti trasecolare di fronte a spirometrie che, eseguite solo successivamente al primo vero episodio di riacutizzazione “noto” (spesso quelli passati non venivano chiamati in questo modo), dimostravano veri e propri disastri funzionali, con uno stupore del paziente, di fronte alla dimostrazione del deficit funzionale serio, per lo meno proporzionale alla sorpresa mal tollerata di trovarsi “di punto in bianco” e “senza preavviso” (?) in una situazione clinica tanto importante.
Questi soggetti consideravano la loro sindrome “ostruttiva severa” o “moderato-severa”, spuntata nella notte dopo la pioggia, in quanto solo un evento di questo tipo avrebbe potuto giustificare il loro disappunto nel sentirsi comunicare che la malattia era già in atto per lo meno da un decennio e che, quindi, la dichiarata assenza di sintomi nel passato da loro sostenuta, mal si conciliava con l’evidenza del gap funzionale individuato. - La maggior parte di questi pazienti, molti dei quali fumatori, proprio in virtù dell’auto-dichiarata “asintomaticità”, insisteva a fumare, sicura del fatto che, nel caso specifico, il fumo non gli stesse arrecando danni! (vedi “BPCO e fumo di sigaretta: il parere dello pneumologo” – “Fumo di sigaretta, tosse, catarro e tumore del polmone: i consigli dello pneumologo”)
- Se si fossero fermati prima, per quanto “senza” sintomi, e avessero abbandonato il fumo per tempo, certamente la loro BPCO avrebbe per lo meno potuto beneficiare di un rallentamento nella velocità del deterioramento funzionale polmonare, cosa questa che avrebbe potuto spostare in avanti, anche di anni, il realizzarsi di un danno che in questo modo, divenendo clinico anzitempo, li conduceva al medico con largo anticipo quando i sintomi, pur già presenti anche se ignorati o mal considerati, non erano più tollerabili.
- Mi chiedo allora: ma dov’è che non funziona? Dov’è che il sistema stride?
Pazienti troppo poco attenti ai propri sintomi, che “meritano la malattia”, così imparano a segnalare al medico il momento in cui è “corretto” inserirli in protocolli di screening preventivo?
Medici troppo fiduciosi nel pensare che il paziente con i sintomi sia certamente uno che segnala con tempestività il suo disagio respiratorio? E che è in grado di “sentirlo” sempre? Forse entrambi? - Di quali pazienti “asintomatici” parla lo studio? E quelli citati sopra, non li ha mai incontrati?
In quanto, stando a ciò che affermo, si potrebbe pensare che ci sia in circolazione una moltitudine di pazienti “asintomatici”, che in realtà i sintomi già ce li hanno! Eccome!
E che se così fosse, vorrebbe dire che tra quegli “asintomatici” da anni, che poi giungono all’ossigeno in occasione della prima riacutizzazione, una buona parte già aveva la BPCO senza saperlo!
E su questa ha continuato magari a fumare allegramente, non essendo suonato mai il campanello che avrebbe potuto segnalare per tempo la necessità di un intervento medico che giustificasse, in modo motivante, di smettere! - Anche solo se arruolare in un “inutile” programma preventivo anche gli “asintomatici” che meglio definirei “ paucisintomatici inconsapevoli di malattia”, fosse un “buon trucco”, finalizzato ad intercettare coloro che, pur già “sintomatici”, non “capiscono”, o non “sanno ”, o non “sentono”, o non “accettano” di esserlo, per attivare tutto ciò che serve a limitare la progressione della malattia respiratoria cronica sulla base di una spirometria “pretestuosa ”, da vedersi anche solo come un’ottima occasione per un colloquio attento in grado di rilevare i sintomi anche in chi pensa di non averli, già questo mi parrebbe, in ogni caso, un obiettivo lusinghiero.
Magari meno rispettoso del tentativo di “matematicizzare” esageratamente la medicina per far quadrare i numeri in una scienza che tutto è, meno che esatta, ma sicuramente più attento ad accogliere anche quella pletora di cose che non capiamo, o che non capiscono i nostri pazienti, che pur non inchinandosi sempre alle nostre teorie di cura, alla fine spesso rappresentano realtà non meno scientifiche con le quali non è possibile non confrontarsi. - Con quale criterio si sono considerati “asintomatici” i pazienti dello studio?
Sono gli stessi che attualmente, pur in presenza di ostruzione moderata o severa, già inconsapevolmente BPCO da anni (!) insistono, come un mantra. nel dichiarare la loro pregressa “asintomaticità”? - Proprio perché, vista in questo modo, la faccenda diviene interessante anche per le stesse ammissioni degli autori dello studio, secondo i quali, a differenza che nel caso dei pazienti asintomatici, per quelli “sintomatici” permarrebbe, invece, valido l’approccio ad uno screening preventivo.
Mi verrebbe voglia, quindi, per amore di scienza e di precisione, di suddividere i pazienti in gruppi di “sintomatici veri”, di “asintomatici supposti tali, prima di tutto da se stessi”, di “asintomatici che a ben guardare non lo sono poi così tanto”, ecc. ,ecc., anche se la cosa, in questo caso, mi parrebbe un po’complicarsi!
Per stare su di un più banale piano pratico, senza quella “scusa” poco scientifica della spirometria, come li “becchiamo”?
Intendo quella moltitudine di fumatori già ammalati di sindrome ostruttiva che continua a fumare perché, di loro, nessuno se ne occupa in quanto, a dir loro, sono “asintomatici”, e peggio ancora nessuno li motiva a smettere di fumare, non avendo in mano le prove di quell’ostruzione documentabile con una spirometria che, secondo lo studio, è inutile fare.
Quei pazienti fumatori che si mostrano così stupiti di fronte alla notizia di una spirometria già compromessa, difficile da accettare soprattutto per la “mancanza” (?) di sintomi, ma dichiarativa, purtroppo, di una BPCO che sembra, a questo punto, comparsa in una notte come i funghi, dove li mettiamo?
Ma ancor più, come li intercettiamo per tempo?
Soprattutto in considerazione della estrema limitatezza del costo e della non invasività del metodo, non potrebbe invece, quell’ “inutile” spirometria, rappresentare un motivo forte in più per organizzare con il paziente un colloquio motivazionale, scientificamente meglio congeniato da un punto di vista dell’efficacia relazionale e comunicativa, rispetto al classico ma inefficace “Lei deve smettere di fumare” che si spreca, spesso con spiegazioni poco motivanti e che, come tali, non hanno mai convinto nessuno a cessare il fumo?
E se questa spirometria “inutile” fosse invece foriera di un successo nell’accettare una rinuncia al fumo, sulla base di un colloquio più convincente, costruito proprio su qualche prova in più che, pur se “senza sintomi”, la giustifichi?
A questo proposito, mi sorprendono alcune conclusioni tratte dalla valutazione dei dati della letteratura analizzati nello studio di cui sopra, secondo le quali, pur con la speranza del contrario, il riscontro di un danno funzionale iniziale e limitato nei pazienti asintomatici non rappresenterebbe quella tanto auspicata motivazione in più a cessare il fumo, con un’influenza sui pazienti praticamente nulla relativa alla reale capacità di rinunciarvi.
Peraltro, se tale dato aiuta certamente i ricercatori a definire inutile uno screening spirometrico nei fumatori senza sintomi, mi pare per lo meno curioso il risultato di uno solo tra gli studi citati, nel quale invece la cessazione del fumo avrebbe prodotto un riscontro positivo, non limitandosi semplicemente a comunicare ai pazienti i parametri numerici dichiarativi del deficit funzionale, quanto, invece, riportando tali dati ad un’ipotetica “età polmonare” alla quale essi si potrebbero riferire.
Mi spiego meglio: se mi sento dire che ho “10” la dove dovrei avere “12”, probabilmente ciò non mi basta per rinunciare al piacere che mi da il fumare, ma se mi sento dire che i miei polmoni, rispetto ai miei cinquant’anni, ne dimostrano almeno dieci di più, allora la cosa cambia!
Probabilmente, allora, una miglior capacità comunicativa, soprattutto dotata di maggior impatto emotivo sul paziente e sulle sue motivazioni a smettere, può aver fatto in questo studio la differenza tra “proporre la cessazione del fumo” e “riuscirci”.
La bontà della comunicazione, molto probabilmente, potrebbe essere quel fattore che ha fatto la differenza in questo studio, e che autorizza a non considerarlo solamente come un’ “anomalia” banalizzabile rispetto a tutti gli altri che avrebbero, invece, dimostrato l’”inutilità” dell’individuazione del danno funzionale (…”un solo” trial …. “risultati non riscontrati” in altri studi ….) in rapporto alla sua concreta possibilità di ottenere la cessazione del fumo, solo per il fatto di non aver invece saputo offrire, probabilmente, delle motivazioni a smettere sufficientemente convincenti.
Mi ricordo quando, nel mio ruolo anche di psicoterapeuta, sostenevo (l’idea non è comunque solo mia!) che non è tanto questo o quel paradigma teorico (psicoanalitico, cognitivista, comportamentale o rogersiano) a far la differenza tra una psicoterapia che “funziona” e una psicoterapia inefficace, quanto questo o quel terapeuta!
Così mi sembra in questo caso.
Il successo “strano” ma più efficace che si è avuto nel comunicare al paziente il danno in atto con la supposta “età polmonare” rispetto a quella anagrafica, potrebbe aver poggiato su di una sua migliore “leggibilità” emotiva del significato del danno rilevato con la spirometria e delle sue future conseguenze, producendo un risultato che mi sembra mettere in discussione la supposta inutilità dello screening sostenuta dai ricercatori.
“Inutilità”, quindi, non tanto nel rilevare il danno negli asintomatici, quanto “inutilità” del venirne a conoscenza, per poi comunicarlo al paziente in un modo tanto inefficace da renderne inutile l’individuazione?
Diciamo che questa ipotesi potrebbe rappresentare un buon punto di partenza per future ricerche che vogliano riconsiderare, da un diverso punto di osservazione, la realtà scientifica sull’argomento, prendendo in considerazione parametri ritenuti, nei lavori citati, indipendenti dalle conclusioni o per lo meno poco influenzanti le stesse, e che potrebbero invece rappresentarne momenti fondamentali.
Guarda caso, quando nei fumatori l’individuazione del danno non immaginato (pazienti “ asintomatici”) e un più efficace impatto sulle rappresentazioni mentali del danno nel paziente, favorito da una più adeguata comunicazione, s’incontrano, sembra prender forma quella miscela esplosiva in grado di compiere il “miracolo”, e che può portare a riconsiderare meno negativamente la dichiarata “inutilità” dello screening spirometrico.
Viste le cose in questo modo, mi pare di poter dire che mi sembra ancora tutto troppo nebuloso perché ci si possa permettere di trarre conclusioni troppo rigorose e vincolanti.
Potrebbe essere, invece, più interessante un’eventuale successiva evoluzione che consentisse alla ricerca di fornirci uno strumento per individuare proprio quella categoria di “asintomatici”, già inconsapevolmente “sfasciati” loro malgrado, ai quali, più che di un’esclusione o di un’inclusione in uno screening randomizzato potenzialmente “inutile” , pur se qualche volta fortunosamente in grado di intercettarne i danni anche “senza” sintomi, servirebbe la possibilità di essere individuati prima che la malattia, per quanto da loro stessi dichiarata “asintomatica” anche se già presente, peggiorasse ulteriormente la funzionalità respiratoria.
Il persistere nell’abitudine tabagica, infatti, combattuta purtroppo spesso con armi spuntate, potrebbe rappresentare una fonte di danno non riconosciuto per tempo anche in virtù di quell’auto-dichiarata, e talora poco veritiera “asintomaticità” che, stando alle conclusioni dello studio citato, escluderebbe i pazienti dallo screening spirometrico.
L’obiezione secondo la quale si potrebbe ottenere uno stop al fumo anche solo con un più efficace metodo comunicativo che ne illustrasse i rischi, pur senza dover ricorrere alla spirometria, potrebbe non trovar favore nel fatto che con il “Vieni, che ti spiego …”, in luogo di un arruolamento di fumatori “asintomatici” che definisca il “Prima valuto la funzionalità respiratoria … poi ti spiego, anche in funzione di cosa trovo…”, probabilmente si motiva meno il paziente ad accettare di “perder tempo” nel disquisire dei massimi sistemi, senza aver dei dati sui quali ragionare. Screening spirometrico, quindi, come quel “buon trucco” di cui parlavo prima? Perché no?
Fintanto che uno studio sui grandi numeri non sarà in grado di definire in modo incontrovertibile la reale “utilità ” o “inutilità” di un trattamento farmacologico dei pazienti con BPCO individuata in fase iniziale, anche e soprattutto in relazione alla minore o maggiore progressione di malattia rispetto ai casi non trattati, ogni conclusione estremizzata mi sembra solamente un’indimostrabile presa di posizione in cui ognuno, al di fuori di una realtà scientifica che sia davvero tale, cerca semplicemente di aver ragione senza avere poi le prove per poterla dimostrare.
Se la medicina degli algoritmi può rappresentare una buona proposta per facilitare la soluzione dei problemi, la medicina “solo” degli algoritmi mi fa paura. Insistere, in certi casi, a considerare esageratamente solo gli aspetti “epidemiologici” e “statistici” del “gruppo”, rischia in medicina di privare qualcuno di quei benefici “personali ” che riguardano “il mio caso”.
Come a nessuno verrebbe in mente di definire “inutile” l’Aspirina solo perché gran parte di chi ha la cefalea se la tiene, e aspetta che passi, o aspetti ad assumerla quando, divenuta ormai insopportabile, meno risponde al farmaco, così mi incuriosisce l’”inutilità” supposta dello screening spirometrico sulla base del fatto che, pur se individuato il problema, molti continuino a fumare come se nulla fosse, o sullo scarso vantaggio di una cura iniziata quando ormai la BPCO non è più iniziale.
I molti pazienti che, venuti troppo tardi a conoscenza di avere una BPCO, mi hanno confidato che se avessero conosciuto con anticipo la situazione sarebbero certamente stati motivati a cessare il fumo prima che il danno si aggravasse, rientrano in ciò che intendo quando parlo di una medicina un po’ più personale.
Non si rinunci, quindi, ad intercettare chi, potenzialmente in grado di limitare la progressione di una malattia oggi all’inizio, rischia di vedersi precludere “personalmente” tale possibilità, solo in quanto il basso grado di aderenza alla cessazione del fumo da parte “di molti altri” ,una volta conosciuto il problema, lo fa rientrare tra coloro che “non vale la pena” controllare con la spirometria, in quanto “asintomatico”.
Più che abbandonare i programmi di screening spirometrico, in quanto poco soddisfacenti nei risultati che producono, ci si impegni, invece, conservando la possibilità di individuare la BPCO all’inizio anche negli “asintomatici”, a lavorare con sempre maggior impegno per migliorare con il paziente quel livello di efficacia comunicativa che, dimostrandosi poi davvero motivante, consenta finalmente di giustificare anche le “inutili” spirometrie.
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