La necessità di dover trovare sempre nuove possibilità di cura nella patologia asmatica, come avviene per molte altre malattie umane, deriva dal fatto che in molti casi l’asma bronchiale si conferma ancora una malattia per la quale il controllo ottimale è ancora lontano.
Non solo, quindi, l’industria farmaceutica continua a sviluppare linee di ricerca orientate alla sintesi di nuove molecole farmacologiche ad azione sempre più selettiva sui β2-recettori bronchiali o su quelli muscarinici responsabili della broncodilatazione, o di principi attivi in grado di esercitare la loro azione sugli stessi recettori per un periodo di tempo sempre più lungo, ma la pneumologia stessa è spesso impegnata a valutare un diverso impiego di farmaci già esistenti, mettendo a punto protocolli clinici che ne consentano un diverso e più proficuo impiego anche in patologie al momento escluse dalla possibilità d’uso degli stessi.
Per quanto i farmaci resisi disponibili negli ultimi anni abbiano apportato notevoli vantaggi (vedi “I nuovi farmaci per asma e BPCO presentati dallo pneumologo”), sia nel senso di una loro maggior efficacia, sia in quello di un minor impegno del paziente a dover assumere farmaci inalatori che, grazie alla loro maggior durata d’azione, possono essere oggi inalati anche solo una o al massimo due volte nelle 24 ore, può capitare allo pneumologo di trovarsi in presenza di quadri clinici di asma che non rispondono al meglio alle terapie proposte, e questo non solamente come conseguenza di scarsa o mancata aderenza del paziente alle cure (vedi “ Asma e malattie respiratorie ostruttive: corretto uso delle bombolette e dei “device” a polvere secca nella cura”).
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Proprio a proposito di una diversa proposta terapeutica di farmaci impiegati per uso inalatorio nel caso di patologie non asmatiche, è stata recentemente segnalata, nel corso dell’Annual Meeting 2016 dell’AAAAI (American Academy of Allergy, Asthma & Immunology) che si è tenuto a Los Angeles dal 4 al 7 marzo, la possibilità d’impiego, in caso di asma bronchiale, di un farmaco prescritto per lungo tempo per la sola broncopneumopatia cronica struttiva (BPCO), ma non autorizzato all’uso per la malattia asmatica.
Come già segnalavo nell’articolo “Riacutizzazione di BPCO e bronchite cronica: novità dallo pneumologo”, si è visto come la proposta di un diverso dosaggio di N-acetilcisteina rispetto all’usuale sembri accompagnarsi a una minor tendenza del paziente affetto da BPCO e bronchite cronica ad andare incontro a episodi di riacutizzazione infettivo-infiammatoria, così sembra confermato, dai risultati raccolti nel corso dei diversi trial clinici presentati, che l’aggiunta di tiotropio alla normale terapia dell’asma, somministrato sotto forma di nebulizzato fine attraverso dispenser dedicato, consenta di ottenere un miglioramento clinico della malattia specie in quelle forme scarsamente controllate, indipendentemente dal fatto che esse si presentino nella sottovarietà allergica a prevalenza flogistico-eosinofila (infiammatoria) o in quella a maggior espressione immunologico-reaginica (elevata presenza di IgE sensibilizzanti).
Il tiotropio consiste in una molecola farmacologica già nota agli pneumologi per il suo impiego nella terapia di lungo termine della BPCO, in grado di garantire una broncodilatazione di lunga durata agendo sui recettori muscarinici con azione anticolinergica (anti-acetilcolinica) (LAMA – long acting muscarinic agonists – antimuscarinico/anticolinergico a lunga durata d’azione), azione ben diversa, per quanto integrata, da quella svolta dai farmaci broncodilatatori a lunga durata d’azione (non meno di 12 ore e non tanto oltre le 24 ore) indicati con la sigla LABA ( long acting beta-adrenoceptor agonists – β2 agonisti a lunga durata d’azione), che esercitano invece la loro azione broncodilatatrice agendo sui recettori β2.
Il tiotropio è attualmente disponibile in due diverse formulazioni farmaceutiche: una a polvere secca contenuta in una capsula, inalabile attraverso l’uso di un dispenser (dispositivo) che libera la polvere e la rende respirabile (18 mcg di tiotropio contenuto – 10 mcg di tiotropio rilasciato); l’altra in forma liquida contenuta in un particolare dispenser in grado di erogare puff predosati inalabili di nebulizzato ultrafine (2,5 mcg per singola erogazione – dose totale di 5 mcg (2 puff) somministrabili al mattino in unica assunzione).
Ricordo come le capsule di tiotropio non debbano mai essere ingerite, e si debba porre particolare attenzione all’uso del tiotropio nel caso in cui il paziente sia affetto da ipertrofia prostatica benigna (IPB) o da glaucoma.
I buoni risultati comunicati a proposito dell’aggiunta del tiotropio alla terapia dell’asma bronchiale non controllata sembrano riferirsi non solamente al miglior controllo della sintomatologia del paziente, ma altresì al miglioramento dei parametri funzionali respiratori documentabili con la spirometria e alla maggior stabilità clinica della malattia, con riduzione degli episodi di scompenso asmatico (riduzione della frequenza delle crisi acute e dell’intensità dell’ostruzione bronchiale nel corso delle stesse), il tutto con un buon livello di tolleranza e di sicurezza del farmaco.
Ricordo, come sempre faccio quando propongo nel presente sito aggiornamenti e proposte scientifiche con finalità divulgative ed informative relative a farmaci e a terapie, che l’adeguatezza terapeutica e la stessa corretta opportunità prescrittiva spetta solo al medico che conosce il paziente asmatico o allo pneumologo che lo segue come specialista e che ogni tentativo di auto-diagnosi e di auto-cura da parte del paziente, in assenza di un’adeguata conferma medica, rischia di rappresentare un pericoloso comportamento spesso fonte di problemi.
Si lasci quindi alla competenza medico-specialistica l’opportunità di scelte terapeutiche che mai devono essere sottovalutate né tantomeno impropriamente auto-prescritte.
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