Come capita per ogni problema della vita, anche nel caso delle malattie il problema non è mai da considerare in termini assoluti, ma è sempre da porre in relazione alla particolare sensibilità della persona ammalata.
E non è certo l’asma bronchiale (vedi anche “ Asma bronchiale: malattia da conoscere”) a sottrarsi a questa regola, come sembra confermare un recente studio presentato nel corso dell’Annual Meeting 2016 dell’AAAAI (American Academy of Allergy, Asthma & Immunology) che si è tenuto a Los Angeles dal 4 al 7 marzo, secondo il quale adolescenti di entrambi i sessi di età compresa tra 14 e 17 anni affetti da asma bronchiale sarebbero molto più sensibili, dimostrando livelli di percezione ansiosa e di stress maggiori rispetto ai coetanei non asmatici.
Tale condizione, confermata attraverso la somministrazione di test psicometrici in grado di quantificare i livelli generali di ansia e di stress percepiti da questi pazienti, non consente di definire, in senso deterministico, se sia la presenza dei sintomi asmatici ad accentuare i livelli d’ansia o se, al contrario, sia la presenza di un maggiore stato d’ansia a favorire la comparsa della sintomatologia asmatica.
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L’asma bronchiale consiste in una malattia respiratoria connotata da sintomi spesso gravemente disturbanti per il paziente che ne è affetto, primo fra tutti la dispnea (difficoltà respiratoria).
Nulla di peggio che vivere con la paura di una nuova crisi asmatica che “ ti toglie il fiato”, capace di creare quella particolare sensazione di soffocamento così temuta da chi ha avuto occasione di confrontarsi con essa.
Pochi disagi fisici sono descritti in modo tanto drammatico come quello descritto dalle persone che hanno provato la sensazione di soffocare.
E poche situazioni sono temute dai pazienti tanto, quanto quelle responsabili di quel particolare tipo d’esperienza.
Con queste premesse è chiaro, quindi, che le conclusioni alle quali è giunto il gruppo di ricerca di cui sopra non devono stupire, tenuto conto, oltretutto, che non rappresenta certo una novità il fatto che asma e disturbi emotivi, primo fra tutti l’ansia, vadano a braccetto (vedi “ Asma psicosomatico: il parere dello pneumologo e dello psicoterapeuta”).
Se posso permettermi di fare qualche personale considerazione, senza commettere l’errore di scendere in dettagli che esulano dalle finalità divulgative del presente testo, mi sembra francamente poco importante definire con precisione se è nato prima l’uovo o la gallina.
Ritengo, quindi, clinicamente poco utile definire quanto sia l’asma a peggiorare il vissuto ansioso del paziente, accentuandone poi magari quella stessa condizione ansiosa responsabile di una più disfunzionale percezione dei sintomi asmatici, o di quanto invece possa essere l’ansia a dover essere considerata un possibile facilitatore della comparsa delle crisi respiratorie asmatiche.
Spesso tutto ciò che tende ad allontanarci dalla percezione di un buon livello di stabilità rassicurante, ci genera un disagio frutto della personale difficoltà che abbiamo ad accettare la perdita delle nostre sicurezze.
Il respiro, dunque, inteso nei termini di quello scontato esistenziale che ci consente la vita, è quanto di più “normale” ci possiamo immaginare, e ogni fattore che rischi di farci rinunciare ad esso genera immediatamente in noi una profonda sofferenza.
Sofferenza che non si ferma, dunque, al solo aspetto fisico della sua mancanza, ma che implica tutta una serie di significati emotivi che da esso dipendono.
Il vivere costantemente in una dimensione interna che metta continuamente in dubbio la possibilità stessa di respirare, come avviene negli asmatici, si dimostra essere quella costante fonte d’allarme che giustifica poi lo stato ansioso.
L’ansia, quindi, come spavento implicito e profondo, come paura inconscia di dover mettere in dubbio, di li a poco, in ogni momento della giornata, il “diritto” a respirare.
Uno stato d’indistinta agitazione interna mai sopita, alla ricerca dei primi segni di una crisi respiratoria che, quando compare, crea quel disagio fisico profondo che comporta il rischio, qualche volta, di allontanarci dalla vita (vedi “ Crisi d’asma e rischio morte: i consigli dello pneumologo”).
Ma lo stesso stato ansioso conseguente alle percezioni disturbanti di cui sopra rischia di precipitare l’asma, favorendo lo scompenso di quella miriade di precari equilibri psichici e neurovegetativi aventi importanti implicazioni fisiopatologiche nello scatenamento delle crisi asmatiche.
In ordine ad una più pratica “utilizzabilità” dei dati che lo studio anzidetto vuole segnalare, vorrei focalizzare l’attenzione su di un concetto che non deve sfuggire.
Asma, ansia e stress sono strettamente correlati, ed in vario modo l’indissolubilità delle loro reciproche relazioni, per quanto ancora poco chiare nei termini delle specifiche dinamiche sottese, devono farci comprendere quanto, in molti casi, non sia possibile risolvere il problema in modo stabile, se non affrontando contemporaneamente tutti e tre gli aspetti.
Questo vale ancor più nel caso dei giovani asmatici i quali, per la giovane età,
- l’inesperienza delle strategie di “coping”
- lo scarso controllo degli stati d’ansia e
- una “governance” ancora poco efficace degli stati emotivi interni
non hanno ancora trovato una strada che consenta loro di pervenire ad una globale “risposta efficace di fronte ai problemi” e, tra questi, anche ai problemi asmatico e ansioso.
Ben venga, quindi, l’indispensabilità dei farmaci broncodilatatori e degli antiinfiammatori per via inalatoria, senza mai dimenticare, tuttavia, la necessità scientificamente più che corretta di dare un giusto peso anche a quegli aspetti neuro-psicologici della malattia asmatica che, se scordati, non faciliteranno sicuramente la vita allo pneumologo.
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