“ … Mi capita alle volte di dover fare un respiro lungo … di sentire che ho bisogno di fare un respiro profondo … ma qualche volta non ci riesco … è come se il respiro si bloccasse … come se non riuscissi a respirare a fondo …non mi manca il fiato ma fare un respiro è un bisogno … ”.
Queste e altre definizioni del genere mi sono state qualche volta presentate da pazienti con dispnea (difficoltà respiratoria) particolarmente ansiosi, timorosi per il loro stato di salute, magari presentandomi un’infinita quantità di esami clinici già praticati e tutti nella norma! (vedi “Spirometria” – “Ossimetria (saturimetria)” – “ Emogasanalisi arteriosa” – “Esami per malattie respiratorie e tumori polmonari e pleurici”).
Come si vede nella curiosa immagine che presenta il testo, ho sempre avuto l’impressione che il disagio respiratorio, cioè quel particolare tipo di dispnea che cercava di essere descritta dai miei pazienti con le definizioni viste sopra, altro non fosse se non quella necessità di respirare che prova il nuotatore nel momento in cui, dopo numerose bracciate in apnea, sente il bisogno impellente di riemergere per “tirare il fiato”, per non soffocare.
E così descritta, numerose volte ho avuto modo di notare quanto la mia supposizione di immaginarmi il loro disagio, mi venisse confermata proprio dalle descrizioni delle sensazioni fisiche e mentali da loro realmente provate.
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Come per tutti i bisogni inappagati, anche in questo caso la dispnea (difficoltà respiratoria) che con queste parole viene descritta, ha poco il sapore di un sintomo dichiarativo di malattia fisica, quanto piuttosto quello di un disagio psicologico (vedi “ Disturbi respiratori a base ansiosa e depressiva”).
Per tornare all’esempio citato prima, sembra davvero di essere in presenza di un paziente che, al pari di un nuotatore che ha fatto 4 bracciate in apnea con la testa sott’acqua, sente la necessità di “tirare il fiato” profondamente, vivendo tale sensazione fisica come un bisogno assoluto, impellente e non procrastinabile, pena il “ sentirsi male”.
L’unica differenza tra i due è che
- mentre il nuotatore in vasca sente la necessità di respirare a fondo in quanto, prolungandosi l’apnea durante lo sforzo, il ricambio d’aria nei polmoni gli è indispensabile per portare nuovo ossigeno ai polmoni e al sangue
- il paziente dispnoico “fuori vasca”, invece, sente il bisogno di “respirare” profondamente, senza che la necessità sentita per tale atto derivi da una malattia respiratoria oggettiva o da una richiesta fisiologica motivata.
Il bisogno del primo è funzionale, in conseguenza di una necessità fisica oggettiva (ipossia – vedi “Insufficienza respiratoria e ossigenoterapia ”), quello del secondo, invece, è “mentalmente” patologico, in quanto, pur non necessario a garantire in quel momento un ricambio d’aria, viene vissuto dal paziente come indispensabile solamente per appagare, proprio attraverso quel respiro lungo, un disagio soggettivo che origina dalla psiche.
Respirare a lungo, in questi pazienti, tende spesso a rappresentare quel “liberarsi” fisicamente da una sensazione intimamente connessa ad un disagio psicosomatico spesso originantesi in un più generale senso di “costrizione” provato nella vita.
Quella stessa costrizione che spesso, in questi pazienti, rappresenta una fastidiosa sensazione con la quale doversi confrontare, presente in ogni momento del vissuto quotidiano e legata ad alcune dinamiche del loro disfunzionale relazionarsi con gli altri.
La richiesta di un respiro, poi, vissuto come “indispensabile in quel momento” ma che “si blocca”, spesso ha a che fare con l’incapacità di questi pazienti di saper portare agli altri il proprio punto di vista, la comunicazione di ciò che vorrebbero poter loro comunicare ma che essi temono possa dispiacergli o, peggio ancora, che possa generare insopportabili giudizi negativi.
Una sorta di vero e proprio “tapparsi la bocca” per non parlare, del tipo “ Ho voglia di dirti … liberandomi (respirando a fondo) … ma poi mi blocco per paura della tua reazione …”.
E chiaro che tutto ciò di cui sto parlando è ben lontano dall’essere qualcosa di mentalmente razionale e consapevole ma rappresenta, invece, per la persona interessata dal problema, un automatismo “inconscio” intimamente collegato con gli stati “ interni” più profondi della mente.
Dinamiche intra-psichiche affini al “respiro indispensabile” sono quelle di alcuni impulsi ai quali spesso i pazienti non sanno rinunciare, tra i quali quelli della “tosse nervosa e dei tic di tosse“.
E’ chiaro che il paziente con questo tipo di problema sia ben lungi dallo spiegare razionalmente il suo disturbo attraverso una giustificazione tanto articolata quanto complessa, ma ciò non toglie che questo sia spesso ciò che capita e che, da solo, il paziente non può comunque comprendere, né tanto meno curare senza un aiuto (vedi “Uno strano disturbo respiratorio: il caso di Marina”).
Spesso questi pazienti esasperano il loro disturbo respiratorio fino a provocarsi veri e propri attacchi di panico con
- tachicardia
- formicolio diffuso al capo e agli arti
- sensazione vertiginosa o di svenimento
- o sensazione di “impazzire”, fino al punto di provare una spiacevolissima e temutissima sensazione di “morte imminente”.
E’ chiaro che, tali modalità estreme di manifestare il proprio disagio, necessitano di un’impostazione diagnostica e terapeutica ben lontana dalla semplice terapia farmacologica del disturbo respiratorio organico, dovendosi trattare il paziente, non prima di averne compreso bene natura e significati del disturbo respiratorio, anche con un approccio di ordine psicoterapico.
Qualche volta, tuttavia, la dispnea accusata dal paziente, per quanto presentata al medico attraverso le curiose affermazioni di cui sopra, potrebbe invece rappresentare il sintomo di una condizione patologica organica dell’apparato respiratorio, ben lontano, quindi, dai significati psicopatologici prima ipotizzati.
La difficoltà “ad introdurre aria”, ad esempio, potrebbe riferirsi ad una particolare forma di dispnea inspiratoria, classicamente indicativa anche di una patologia del laringe (vedi “Laringite acuta e cronica” e “Laringospasmo”), o potrebbe accompagnarsi alla difficoltà che prova chi, sovrappeso (BMI da 25 a 30), o francamente obeso (BMI >30) (vedi ”BPCO, insufficienza respiratoria e alimentazione: i consigli dello pneumologo”), specialmente se con intestino diffusamente meteorico (pieno d’aria), deve aumentare faticosamente il suo lavoro respiratorio in conseguenza di un’attività fisica intrapresa.
O ancora potrebbe esser la conseguenza della difficoltà ad immettere nuova aria nei polmoni per la presenza di un versamento pleurico che, occupando con del liquido una parte dello spazio polmonare destinato all’aria, limita in modo talora significativo la capacità vitale (volume) del polmone, obbligando il paziente ad una respirazione più ridotta, frequente e superficiale, ma soprattutto nettamente più faticosa.
Sia chiaro che, ove presenti queste patologie “fisiche” che giustifichino la dispnea, difficilmente esse tenderanno a risolversi spontaneamente e senza cura, ma soprattutto le stesse tenderanno a permanere stabili, presentando difficilmente un andamento intermittente o incostante come nel caso, invece, della sintomatologia dispnoica provocata da un disturbo respiratorio psicosomatico (vedi anche la “tosse psicogena ” in “Tosse persistente dell’adulto e del bambino” e “ Asma psicosomatico: il parere dello pneumologo e dello psicoterapeuta”).
Conclusione
Pur tuttavia le conclusioni cliniche e diagnostiche dei vari casi devono sempre essere attentamente confermate dallo specialista, questo ad evitare pericolose sovra- o sotto-stime delle diverse situazioni cliniche del paziente.
Nei casi dubbi, infatti, saranno il medico o lo specialista pneumologo che di volta in volta, dopo aver visitato il paziente e dopo aver pazientemente colloquiato con lo stesso (vedi “La visita pneumologica presentata dallo pneumologo”), prescriveranno gli esami clinici più adeguati a comprendere la fonte del suo disagio respiratorio.
Nel caso in cui venisse confermata la genesi psicogena del disturbo, un adeguato ciclo di psicoterapia o un percorso di counseling al paziente con disagio respiratorio, comprensivo di eventuali tecniche di rilassamento sicuramente non inferiori, per risultato, ad altri accreditati trattamenti fisioterapici respiratori (vedi “ Ginnastica respiratoria, BPCO e Yoga: il parere dello pneumologo”), potranno consentire al paziente di riguadagnare un equilibrio fisico e mentale compatibile con un benessere generale che possa davvero definirsi tale.
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