E’ ormai assodato che la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), patologia respiratoria che interessa solo in Italia circa 3 milioni di soggetti di entrambe i sessi, rappresenta una malattia cronica in grado di interferire negativamente
- non solamente sul benessere respiratorio dei pazienti che ne sono affetti
- ma altresì sul loro benessere mentale
determinando un importante aumento di quei disturbi d’ansia e dell’umore che, nei pazienti con BPCO, rappresentano spesso due tra le più dirette conseguenze.
Da anni, nel mio doppio ruolo professionale di pneumologo e di psicoterapeuta, tocco quotidianamente con mano l’importanza delle reciproche interferenze tra questi disturbi, osservando come non esista limite, specie nell’anziano, alla possibilità d’immaginare ognuno di essi come punto di partenza in grado di generare, sostenere o amplificare i sintomi attraverso i quali tutti gli altri si presentano.
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Fattori interagenti con la BPCO
- La dispnea (difficoltà respiratoria)
- il disagio ansioso
- la paura per la propria condizione fisica e per i sintomi respiratori
- la tristezza persistente che giunge fino alla stabile depressione dell’umore
sono, nei pazienti con BPCO, fattori tra loro fortemente interagenti e spesso legati da relazioni biunivoche.
Vediamo, allora, in quale modo e con quali dinamiche essi si influenzino vicendevolmente.
- La personale percezione della dispnea, ad esempio, sintomo costantemente presente negli stadi più importanti della BPCO (vedi “Classificazione GOLD della BPCO come indice di gravità pneumologica”), influenza il diverso modo con cui il paziente vive la sua malattia, determinando un’attivazione ansiosa direttamente proporzionale all’intensità dei vissuti di paura e di insicurezza per il futuro legati soprattutto alla malattia respiratoria che avanza.
Si tenga conto del fatto che una gran parte dei pazienti con BPCO di grado da moderato a molto grave (stadio GOLD da II a IV) ha difficoltà a compiere i comuni atti della quotidianità, con un’importante compromissione della qualità di vita propria e dei familiari che li assistono.
Il diverso grado di intensità della dispnea percepita dal paziente, infatti, vista non tanto nei termini di una “dispnea” oggettualizzata e vissuta come dato assoluto, quanto invece come misura implicita del livello di gravità prognostica della BPCO ipotizzata dal paziente, condiziona pesantemente le conclusioni che egli trae quando “costruisce” letteralmente le sue percezioni ansiose.
Vari studi confermano, infatti, che l’ansia e la depressione sono più facilmente riscontrabili in quei pazienti affetti da BPCO che presentino una peggiore compromissione funzionale respiratoria (spirometria) e uno stadio di malattia più avanzato.
Non un’ansia assoluta, quindi, non una sorta di “ansia e basta, uguale per tutti”, quanto invece un’ ansia “personale”, individualmente costruita da quello specifico paziente attraverso personali conclusioni diverse da paziente a paziente.
La dispnea, d’altra parte, subisce importanti variazioni della sua intensità, anche in funzione del livello di generale ansietà vissuta dal paziente affetto da BPCO, divenendo un vero e proprio sintomo “dipendente” non solamente dalle alterazioni funzionali respiratorie documentabili con l’esame spirometrico, ma altresì dalla personale attivazione ansiosa “ misurabile” con test psicodiagnostici dedicati. - Dispnea e depressione spesso coesistono, aggravandosi a vicenda per reciproca interferenza.
Il fatto di non riuscire a risolvere definitivamente una malattia che, proprio in quanto cronica, tende a permanere per quanto farmacologicamente ben curata, senza riuscire spesso ad eliminare in modo soddisfacente il disagio respiratorio e le inevitabili limitazioni fisiche e sociali che esso determina, porta il paziente con BPCO a manifestare quella deflessione dell’umore che ne definisce poi gli stessi aspetti depressivi.
Anche in questo senso, aiutare chi è affetto da BPCO a superare i limiti imposti dalla malattia, vuole dire mettersi a sua disposizione per costruire insieme una dimensione generale dell’assistenza che non sia solamente “farmaco”, ma che sottintenda ad una più generale strategia di cura che prenda in considerazione anche gli aspetti del gap sociale, spesso sostenuti da inutili e pericolose strategie di evitamento, con il preciso fine di limitare, per quanto possibile, l’invalidità del paziente.
A tal proposito ricordo, come già riferito in un mio precedente articolo pubblicato nel sito, come la depressione influenzi negativamente la disponibilità del paziente ad accettare di sottoporsi a cicli riabilitativi respiratori (vedi “La depressione interferisce con la riabilitazione della BPCO” – “Esercizi respiratori per pazienti con BPCO: la ginnastica respiratoria consigliata dallo pneumologo” – “Ginnastica respiratoria, BPCO e Yoga: il parere dello pneumologo”).
A conferma di quanto affermato sopra, si aggiunga il maggior riscontro dei disturbi dell’umore (depressione), rispetto alla popolazione generale, proprio nei pazienti anziani non casualmente più frequentemente portatori anche di BPCO. - L’ansia del paziente affetto da BPCO, peraltro, non nasce dal nulla.
Essa non rappresenta altro se non l’esito finale di un lungo periodo di emozioni intense imposte dalla malattia respiratoria, tra le quali la paura generata dal rischio di perdere la propria autonomia e con essa una possibilità di movimento che non sia vincolata alla disponibilità degli altri.
Gli stessi comportamenti sociali della quotidianità relazionale e sentimentale del paziente vengono spesso messi in discussione, specie nel caso in cui lo stesso presenti una condizione di insufficienza respiratoria tale da richiedere l’ossigenoterapia (vedi “L’ossigenoterapia domiciliare spiegata dallo pneumologo”).
Ma non è messa solo in dubbio la libertà di muoversi in modo indipendente, ma anche gli aspetti economici legati alle maggiori spese imposte dalla malattia, tra le quali ticket sanitari, ausili e badanti varie, che divengono in certi casi quasi indispensabili.
E’ noto come il disturbo d’ansia generalizzato e il disturbo di panico siano nei pazienti affetti da BPCO più frequenti rispetto ai soggetti che non sono affetti da tale patologia.
Si è visto, inoltre, come una maggiore gravità dello stato ansioso del paziente con BPCO correli con una più elevata frequenza di ricoveri ospedalieri necessari a trattare gli episodi di riacutizzazione della malattia (vedi “Riacutizzazione di BPCO e bronchite cronica: novità dallo pneumologo” – “BPCO riacutizzata e reflusso gastro-esofageo: i consigli dello pneumologo” – “N-acetilcisteina (NAC): farmaco pneumologico non solo mucolitico”).
Ospedalizzazioni che, peraltro, non fanno altro se non aggravare ulteriormente sia gli aspetti ansiosi, sia quelli depressivi del paziente ricoverato. - I sintomi con i quali la depressione e l’ansia più frequentemente si presentano nei pazienti affetti da BPCO, spesso a genesi anche psicosomatica, vanno da un’accentuazione della sensazione di dispnea rispetto a quella che il paziente dovrebbe percepire solo in virtù del gap funzionale respiratorio se fosse privo di tali problemi, al difficile rapporto con un corpo percepito come “ faticoso” da gestire e responsabile di stanchezza, cosa questa che può spingere il paziente ad una ridotta cura di sé, nei termini di scarsa igiene personale e ridotta attenzione per il proprio aspetto fisico.
La più facile tendenza all’irritabilità, espressa anche nel rapporto con i caregiver di fronte ai quali il paziente si sente spesso colpevolmente “di peso”, rappresenta l’esito di una rabbia mal gestita per non riuscire a dominare la malattia e le limitazioni imposte dalla stessa, mentre il pensiero inconsciamente spesso assorto e inconsapevolmente concentrato a cercare di risolvere i problemi che lo stato di malattia comporta, esita in un generale senso di estraneazione dalla realtà del vissuto quotidiano, descritto, da chi assiste il paziente, come “distrazione”.
Anche le manifestazioni parestesiche (sensazione di formicolio agli arti), oltre ai disturbi dispeptici (nausea e inappetenza) talora associati alla perdita di peso più frequente nei pazienti “pink puffer” con enfisema polmonare (vedi “Ipertensione polmonare e cuore polmonare”), rappresentano qualche volta manifestazioni che hanno a che fare più con gli aspetti psicosomatici, che non con quelli organici e disfunzionali legati indirettamente alla BPCO.
La più facile tendenza al ritiro sociale, sintomo cardine della depressione, e ad un più generale disinteresse dalla partecipazione alla vita attiva (vedi “BPCO e vita attiva: i consigli dello pneumologo” – “Bronchite cronica e regole di vita: lo pneumologo e la terapia oltre i farmaci”), divengono talora responsabili, nel paziente con BPCO, dell’autoriduzione dei farmaci prescritti per scarsa fiducia nella cura o del rifiuto di assumerli, rendendo più difficoltoso il controllo farmacologico della malattia.
Per contro, invece, l’esagerato consumo di tranquillanti e benzodiazepine con i quali il paziente cerca di controllare l’ansia, spesso sconsigliati nei pazienti con BPCO per il rischio di ulteriore depressione dei centri respiratori ed aggravamento dell’insufficienza respiratoria quando presente, rischia di peggiorare il già compromesso quadro funzionale del paziente fino al punto di aumentare la frequenza di ospedalizzazione.
Si tenga anche conto, a proposito dell’ansia e della particolare irritabilità di alcuni pazienti con BPCO, che spesso gli stessi farmaci broncodilatatori β2-agonisti adrenergici e teofillinici impiegati in terapia, oltre agli stessi cortisonici, possono facilitare la comparsa e il mantenimento del disturbo d’ansia e la maggior suscettibilità del paziente.
Per rimanere, poi, nell’ambito delle manifestazioni psichiatriche, un ulteriore rischio è rappresentato dall’assunzione di alcuni antibiotici, tra i quali i fluoro-chinolonici (ciprofloxacina e levofloxacina), spesso prescritti al paziente con BPCO in occasione delle possibili riacutizzazioni infettive, in grado di provocare veri e propri episodi confusionali acuti(delirium). - Si ricordi sempre che, come spesso accade in presenza di una malattia cronica che può solo essere “curata” ma, per definizione, mai “guarita”, anche nel caso della BPCO non è tanto “la malattia” a dover essere trattata, quanto “la persona” portatrice della stessa.
Una maggiore disponibilità dei “caregiver” (medico e famigliari che assistono il paziente) ad accettare, prima di tutto, il complesso mondo personale del disagio psicologico dell’ammalato che lo porta spesso alla perdita della fiducia in sé stesso, non sicuramente meno importante rispetto ai suoi sintomi fisici “obiettivi”, non potrà far altro che migliorare il livello di sintonia con il vissuto del paziente, indispensabile ingrediente per una relazione curativa che davvero voglia avere la pretesa di migliorarne la qualità di vita.
Per quanto tali considerazioni possano apparire “scontate ”, esse appaiono nei fatti molto meno tali se confrontate con la scarsità di prescrizioni psicofarmacologiche (antidepressivi SSRI) e psicoterapeutiche (terapia cognitivo-comportamentale), in rapporto all’elevata frequenza con la quale si riscontrano i disturbi psichici ansioso-depressivi nei pazienti affetti da BPCO.
Conclusione
Nel paziente con BPCO, la dispnea generata dalla scarsa attenzione posta alla terapia del disagio psichico, spesso banalizzato e sminuito rispetto ad una supposta maggior “dignità” della sintomatologia fisica “ oggettiva”, fa respirare il paziente con un disagio respiratorio pari almeno a quello che originerebbe da un inadeguato trattamento “pneumologico” del disturbo, nel caso in cui lo pneumologo si “scordasse” dei farmaci broncodilatatori.
- Una buona integrazione tra broncodilatatori e psicofarmaci appropriatamente prescritti
- Programmi di riabilitazione con cicli di fisiokinesiterapia respiratoria e approccio psicoterapico cognitivo-comportamentale anche rivolto ai caregiver e al contenimento dello stress da assistenza
possono consentire al portatore di BPCO di gestire in modo più efficace quei disagi psichici ansioso-depressivi spesso associati alla malattia respiratoria cronica che, se non correttamente considerati e trattati, rischiano di peggiorare in modo talora rilevante la qualità di vita del paziente.
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